18 dicembre 2019
SCUOLA FREUD – ISTITUTO FREUD
Tecnico Tecnologico Informatico – Tecnico Economico – Liceo Economico Sociale
COME PRENDERE DECISIONI OVVERO IMPARARE L'ARTE DI ESSERE LA VERSIONE MIGLIORE DI SE'.
È stato svelato il motivo per cui prendere decisioni importanti non è solo difficile ma è proprio un mistero... ma
Siamo avvezzi a dire che “abbiamo deciso" di sposarci, di avere figli, di vivere in un’altra città o di cambiare lavoro, attraversiamo tutti periodi in cui esprimiamo circa a lungo sul da farsi, soppesiamo pro e contro di una o dell’altra e ci mettiamo all’opera di conseguenza. Ci siamo mai chiesti come facciamo queste scelte - alias cosa succede nella nostra testa ogni volta che decidiamo qualcosa? Perché è così difficile scegliere, a volte, mentre in altri casi è istintivo? Secondo Joshua Rothman del New Yorker, uno dei grandi paradossi della vita è che le nostre grandi decisioni sono spesso meno calcolate di quelle piccole, apparentemente più insignificanti. L’esempio è quotidiano: agonizziamo sul divano mentre passiamo ore a scandagliare il catalogo di Netflix perché non riusciamo a capire cosa vorremmo vedere, poi lasciamo che un aperitivo con un’amica ci convinca a trasferirci in un’altra città. Acquistare un nuovo computer portatile può richiedere settimane di ricerca su Internet e di telefonate agli amici esperti, ma lasciare il partner di una vita può richiedere appena un paio di bicchieri di vino. Insomma, pare che non cambi molto dei tempi degli antichi persiani quando - secondo Erodoto - si prendevano grandi decisioni discutendone due volte: una volta ubriachi, una volta sobri.Steven Johnson, storico e studioso dei processi decisionali, crede invece che sia il momento di fare passi avanti in tema di risoluzioni: ha esaminato una serie di scelte complesse con conseguenze di vasta portata - come quella fatta dall’ex presidente Usa Barack Obama e dai suoi consiglieri di dare il via libera al raid sul presunto compound di Osama bin Laden ad Abbottabad - e ha dimostrato come i responsabili si siano ispirati alle intuizioni della "decision science", un campo di ricerca che mixa sapientemente economia comportamentale, psicologia e management. Insomma, secondo Johnson, dovremmo applicare queste tecniche alla nostra vita quotidiana, anche quando si tratta di scegliere un detersivo. Una speranza che è in sostanza utopia, perché dovremmo prima di tutto imparare tre materie belle complesse, poi applicarle sempre in modo attento e lucido in meno tempo possibile. La realtà dei fatti è che, nella stragrande maggioranza dei casi, siamo costretti a prendere decisioni in condizioni imperfette che ci impediscono di analizzare attentamente i dettagli.
Un problema definito dagli esperti di “razionalità limitata”, alias: le nostre opzioni sono spesso vincolate da scelte precedenti, dai molti dettagli che ci rimangono oscuri o che ignoriamo per tanti motivi, e dal fatto che siamo tremendamente influenzabili dal pensiero di gruppo - e tendiamo a ricadere negli stessi errori degli altri. Le decisioni più complesse sono quelle che ci costringono ad analizzare “obiettivi contrastanti” prevedendo le conseguenze sul futuro in modo confuso e le scelte veramente consequenziali della vita, secondo Johnson, “non possono essere comprese su una singola scala”. L’esempio che fa è quello dei due lavori offerti: uno che salva la vita alle persone più bisognose del mondo e l’altro nella finanza che assicura una vita di ricchezze. Dovremmo considerare quale scelta sarebbe la migliore oggi, ma anche alla fine di quest'anno e tra dieci anni, pensando anche a quale sarebbe preferibile dal punto di vista emotivo, finanziario, morale, per i nostri desideri, per quelli della nostra famiglia e per la società in cui viviamo. In breve, c’è così tanto da considerare che potremmo andare in tilt.
I più capaci/preparati/abituati a prendere decisioni analizzati da Johnson navigano in questa tempesta grazie a precisi processi che spesso si svolgono in fasi e vengono intrapresi in gruppo. Chi deve investire molti soldi, generalmente, utilizza la “pianificazione degli scenari” per creare una proiezione il più possibile fedele alla realtà di come potrebbero andare a finire: si prepara uno scenario in cui le cose migliorano, uno in cui peggiorano e uno in cui diventano strane per diversi imprevisti. Chi si ispira alla pianificazione militare usa coinvolgenti giochi di guerra, svolti sia sul campo che intorno a un tavolo, per visualizzare la "mappa decisionale”, imparando a prevedere quante più mosse possibili del nemico. Liceo Scienze Umane Economico Sociale
Quest’approccio “scientifico” alle decisioni può essere applicato anche alle determinazioni quotidiane, secondo Johnson. Lo studioso ha deciso di mettere alla prova la strategia decisionali-scientifiche per convincere la moglie a trasferirsi, con i loro due figli, da New York City alla Bay Area. Ha ha condotto un'"analisi a tutto campo", arrivando a varie conclusioni: cosa avrebbe significato trasferirsi finanziariamente, psicologicamente (il trasferimento in una nuova città lo farà sentire più giovane? Più affaticato?), e a livello esistenziale (vuole essere il tipo di persona che vive in un solo posto tutta la sua vita?), riassumendo tutte le sue scoperte in una presentazione PowerPoint che ha mostrato alla moglie. Long story short, lei ha avanzato alcune obiezioni, ne hanno discusso insieme e hanno fatto un patto: si sarebbero trasferiti, ma se dopo due anni avessero sentito il desiderio di tornare indietro lo avrebbero fatto senza troppe discussioni. Sette anni dopo vivevano ancora felici nella Bay Area.
Non ha fatto altro che applicare i principi della scienza delle decisioni che ci stimola a considerare diverse prospettive sulla scelta da prendere, sfida le prime ipotesi che ci vengono in mente aiutandoci a indagarne altre, ci spinge a fare uno sforzo per mappare tutte le variabili - aka un vero e proprio passo avanti rispetto alle semplici liste dei pro e dei contro. Sono però secoli che i filosofi cercano di capire meglio come prendiamo le decisioni e cosa rende ogni decisione giusta o sbagliata, razionale o irrazionale. La "teoria delle decisioni”, che piace a molti esperti, sostiene che le sane decisioni dipendono da un valore e c’è una formula per scegliere in qualsiasi caso. Di fronte a una possibilità prima valutiamo il possibile valore ottenuto dalle due opzioni, poi cerchiamo di massimizzarlo. Dobbiamo uscire e non sappiamo se prendere l’ombrello? Dobbiamo appoggiarci a una formula che assegna un peso alla probabilità di pioggia, uno al piacere che proveremmo passeggiando liberi senza l’ingombro dell’ombrello e uno al fastidio di bagnarsi nel caso piovesse. Che cosa vince? La maggior parte delle decisioni che prendiamo ogni giorno è più complessa di questa, ma la promessa della teoria delle decisioni è che c'è una formula per tutto, dal lancio di un raid ad Abbottabad alla scelta della facoltà universitaria. Dare un valore alle variabili in questione significa fare la scelta giusta.
Ultimamente sempre più filosofi si dicono insoddisfatti da questa teoria delle decisioni perché diventa meno utile quando non siamo sicuri di ciò che ci sta a cuore, o quando prevediamo che ciò che ci sta a cuore potrebbe cambiare. La filosofa israeliana Edna Ullmann-Margalit sostiene esistano anche scelte che non si basano sulla valutazione semplice del valore (in termini assoluti), ma lo riconfigurano ogni volta secondo come viviamo la nostra vita al momento. Non possono essere valutate come scelte sane o non sane, razionali o irrazionali in toto, vanno sempre contestualizzato rispetto alla possibile evoluzione che c’è stata di mezzo. Racconta la storia di un uomo che esitava ad avere figli perché non volevano diventare il "tipo noioso" che i genitori tendono a diventare: “Alla fine, ha deciso di avere un figlio e, con il tempo, ha adottato le caratteristiche noiose dei suoi amici genitori, ma era felice! Di chi sono stati massimizzati i valori: quelli di una persona anziana o di una nuova persona?”. Nessuna formula poteva prevedere questa scelta, anzi, ma l’uomo ha "optato" per averli ed è diventato una persona diversa, un genitore. Il problema è che non si può davvero sapere in anticipo come sia “essere un genitore”, ad esempio. L. A. Paul, un filosofo di Yale che ha scritto diversi libri, crede che vivere "autenticamente" significhi occasionalmente lasciare il proprio vecchio sé alle spalle "per creare e scoprire un nuovo sé". Parte dell’essere vivi è l’attesa della "rivelazione" di "chi diventeremo”. Scuola Privata Turismo Milano
Agnes Callard, filosofa dell'Università di Chicago, è invece scettica sull'idea di una trasformazione improvvisa. È anche convinta che, a prescindere da tutto, scegliamo come e quando cambiare. Secondo lei "aspiriamo" all’auto-trasformazione provando i valori che speriamo un giorno di possedere, proprio come potremmo posare allo specchio prima di uscire per un appuntamento. Molte delle decisioni ordinarie, quindi, dipendono molto da chi aspira a diventare. Lei fa un esempio: supponiamo di iscriverci a un corso di per imparare ad apprezzare la musica classica in cui il nostro primo compito è quello di ascoltare una sinfonia. Indossiamo le cuffie, premiamo play e crolliamo addormentati. Il problema è che in realtà non volevamo ascoltare musica classica; volevamo solo volerlo. Sembra più complesso di quel che è. Per la Callard, aspirare a qualcosa è una tipica attività umana: ci sono aspiranti amanti del vino, estimatori d'arte, appassionati di sport, esperte di moda, alpinisti, genitori… e tutti cercano semplicemente di valorizzare cose nuove. Molte delle decisioni ordinarie dipendono proprio da aspiriamo a diventare.
Insomma, non sono ancora chiarissimi tutti i processi dietro alle nostre decisioni, quello che è certo è in ballo ci sono un mare di ragionamenti, ambizioni, desideri e abitudini a cui probabilmente nemmeno facciamo attenzione.